È ufficiale dal 18 maggio quasi tutte le aziende riaprono i propri uffici, con le dovute cautele e con il rispetto di tutte le norme necessarie per la sicurezza dei propri lavoratori: sanificazione, mascherine, DPI, gel igienizzanti, termoscanner, rotazione nella presenza. È tutto pronto, ma molti di noi non hanno alcuna voglia di lasciare la propria casa, quella zona di conforto che ha rappresentato in questi giorni l’unica barriera sicura contro un nemico invisibile e spietato. La possiamo chiamare sindrome di Stoccolma, sindrome della capanna o come vogliamo, ma il senso è che ci sentiamo sicuri solo a casa e facciamo fatica a riadattare la nostra vita a un ritmo diverso, diverso dall’attuale, ma diverso anche da prima.
Abbiamo fatto fatica, in questi mesi, a lavorare da casa, a ritrovare un equilibrio in una situazione insolita, ma lo abbiamo trovato, magari destreggiandoci fra figli, conference call, compiti da seguire, spese da fare, incombenze domestiche di vario tipo e vario genere. Adesso l’idea di affrontare di nuovo il mondo esterno, che ci appare come ignoto e nemico, ci fa paura.
Alcuni hanno paura del contagio e quindi di incontrare i colleghi, anche se a distanza di sicurezza e con mascherina, di imbattersi in sconosciuti sui mezzi pubblici, di sfiorarsi con la gente che gira per le strade, nel terrore che siano tutti possibili portatori di sciagura.
Altri hanno semplicemente paura di affrontare uno spazio esterno, di rimettersi in gioco dal vivo con tutte le persone, amici compresi, che hanno frequentato senza alcun timore solo fino a due mesi fa.
Altri ancora hanno paura di rientrare al lavoro perché non sanno come potranno gestire i figli rimasti senza scuola e che, a norma, sarebbe meglio non andassero dai nonni, da sempre l’unico aiuto per tanti.
Siamo tutti profondamente cambiati e, in fondo, spaventati. Abbiamo paura del contagio, dell’altro, del futuro, della debacle economica.
Che cosa possiamo fare? Probabilmente dovremo solo, darci un po’ di tempo per riabituarci a ritmi diversi da quelli a cui ci siamo abituati in questi mesi, ma diversi anche da prima del lockdown. Dovremo semplicemente cercare di essere ancora flessibili e lentamente riabituarci a questa nuova routine.
Secondo la Società Italiana di Psichiatria la nostra sindrome si risolverà nell’arco di due o tre settimane, sicuramente molto prima che cura e vaccino ci consentano di tornare alla nostra vita sociale.