Debora Giorgi, ricercatrice, insegnante di Design al Dipartimento di Architettura dell’Università di Firenze, ci racconta di sé, del suo particolare percorso professionale e di tutto quello che il suo lavoro rappresenta per lei. Infine, consigli utili per tutti i giovani che dovranno affrontare, nei prossimi anni, un cambiamento epocale.
Come sei arrivata a fare il tuo lavoro e che cosa ti ha spinta?
Ho iniziato a studiare Architettura perché volevo avere degli strumenti per ‘fare’ qualcosa di utile partendo dalla mia inclinazione creativa e poi il mio grande sogno era poter viaggiare, conoscere culture e cose nuove. Il percorso tuttavia non è stato lineare. Molto presto mi sono resa conto del fatto che la ricerca pura e fine a sé stessa non mi interessava e che avevo bisogno di vedere concretamente dei risultati, di sperimentare sul terreno e di vedere i progetti realizzarsi. Così ho lavorato per molti anni nel management culturale e organizzazione di eventi per una cooperativa archeologica, poi ho lavorato come consulente e project manager in vari progetti internazionali in Marocco, Tunisia, Yemen, Etiopia, Algeria, Haiti, Palestina e mi sono occupata di progetti di formazione innovativi collaborando in varie forme con Università italiane e straniere. Tutte queste esperienze mi hanno portato dove sono ora, e proprio nell’ambito di questi progetti, ho avviato la collaborazione con il Dipartimento di Architettura dell’Università di Firenze. Per molti anni si è trattato di collaborazioni sporadiche su progetti in corso e sulla scrittura di nuovi progetti come assegnista di ricerca. Poi grazie ad un accordo interministeriale tra MIUR e Ministère de l’Enseignement supérieure marocchino, ho potuto partecipare e vincere un concorso come ricercatrice B in Design ed oggi il mio contratto attuale prevede che io insegni Design in Marocco oltre che a Firenze e che continui a svolgere ricerca in Marocco e nell’area Mediterranea.
Che cosa ti piace di più e cosa non sopporti o ti piace di meno di quello che fai?
Mi piace moltissimo il fatto di poter progettare sempre nuove possibilità e di poter svolgere ricerca con molti gradi di libertà, considero poi un grandissimo privilegio poter trasmettere qualcosa delle mie esperienze ai ragazzi e contribuire, almeno un po’, a renderli capaci di pensare e quindi di essere liberi. Detesto invece il perdurare di atteggiamenti baronali che considero fuori tempo e che allontanano sempre più l’università dalla vita reale.
Cosa ti è mancato maggiormente in questo periodo di lockdown?
Durante il lockdown per fortuna ho lavorato tantissimo e sono stata sempre connessa con diversi colleghi e studenti. Proprio per non fare sentire abbandonati gli studenti abbiamo organizzato tante attività online e montato diversi progetti. A volte stavamo connessi veramente fino a tarda sera. Devo dire quindi che sul piano delle relazioni umane, nonostante la distanza fisica, ho potuto avere rapporti forse molto più profondi che in condizioni di normalità, forse proprio perché le distrazioni erano poche! Mi è mancato invece viaggiare e muovermi liberamente e questo mi manca ancora.
Che consigli daresti ai giovani che desiderano intraprendere la tua professione?
Studiare e fare più esperienze possibile in modo da acquisire strumenti per poter affrontare le sfide e i cambiamenti che si presenteranno con creatività. E poi non arrendersi, andare avanti, continuare a fare progetti e provarci, anche se non c’è un riscontro immediato in termini economici o di certezze. Avere il coraggio di percorrere strade meno battute, non avere paura di inseguire i propri sogni. Nel tempo tutto acquisterà un senso.