In questi tempi difficili e di cambiamento si parla sempre di più di un nuovo approccio alle modalità di lavoro, di smart working, di leadership femminile, di parità di genere ancora lontana (purtroppo), di giovani che faticano a inserirsi nel mondo del lavoro e di tutti quei temi che portano ad una nuova visione della gestione delle risorse umane. Di questo e di altro ancora abbiamo parlato con Serena Apicella – HR Manager di Birra Peroni.
Come sei arrivata a fare il tuo lavoro nel mondo delle risorse umane?
Un po’ per caso in realtà. Mi sono laureata in Scienze politiche, che non dà una specifica specializzazione, ma è proprio quello il motivo per cui l’ho scelta, mi lasciava aperte molte possibilità; dopo la laurea ho fatto un master per imparare a gestire i fondi comunitari e poi uno stage in ISTUD, una scuola di formazione che, tra le altre cose, progettava ed erogava master post laurea finanziati dalla Comunità Europea. Qui mi hanno insegnato come si progetta un corso di formazione e come si sta in aula; inoltre facevo la tutor ai master finanziati, ne progettavo i contenuti con i docenti e seguivo tutta la gestione. Poi ho iniziato a fare formazione e piccole consulenze alle aziende, e allora mi sono resa conto che non sapevo niente di come funziona un’azienda. Ho deciso, quindi, di fare un MBA e ho scelto quello della Bocconi, che all’epoca durava 16 mesi. Ho concluso a dicembre del 1999 e a gennaio 2000 ho iniziato a lavorare a Firenze in General Electric Oil & Gas (ex Nuovo Pignone),inizialmente come responsabile della formazione, poi come generalista per alcune funzioni e così ho cominciato la mia carriera nel fantastico mondo delle risorse umane e non l’ho più abbandonato.
Cos’è che ti fa rimanere nel mondo delle risorse umane?
La bellezza dei rapporti che riesci a costruire, nonostante ci sia anche tanta frustrazione perché non tutte le aziende sono illuminate e non tutti i manager sanno motivare le proprie persone o farle crescere. È un ruolo abbastanza complicato, però è una professione che ti mantiene sempre in attività. Hai sempre qualcosa da imparare perché hai a che fare con gli altri esseri umani, quindi se sei aperto ti arricchisce e ti fa mettere in discussione costantemente. Non è un lavoro facile ma, se sai guardare le cose da tutti i punti di vista, impari tanto e ogni volta ti porti a casa qualcosa di nuovo. Imparare a gestire le persone è una sfida non da poco, devi interagire con tanta gente diversa con livelli di preparazione anche culturale differente e che vengono da mondi differenti. È questo che mi mantiene legata a questo lavoro: imparo sempre tantissime cose dalle persone con cui ho a che fare, nel bene o nel male. Un altro aspetto è lo studio, devi studiare sempre, ti devi mantenere informata, e questo, per me, è molto stimolante.
Quali sono le criticità che tu vedi in questo momento storico, al di là del COVID, in generale nel mondo del lavoro da un punto di vista di valorizzazione delle risorse?
Questo è un momento che richiede un grosso cambiamento di approccio da parte delle aziende, lo smart working ci sta aprendo la possibilità di lavorare in modo più flessibile e di occuparci di altri aspetti che fino ad ora non sono stati presi seriamente in considerazione, come il benessere, il bilanciamento vita personale- vita professionale, se ne parla da quando ho iniziato questo mestiere, ma credo che solo adesso si cominci a capire che bisogna veramente occuparsene. E non è per niente scontato che siamo in grado di cambiare questo nuovo approccio al lavoro, e che si sia pronti, anche nell’ambito del mondo risorse umane, a capire e a dare valore a queste esigenze. Tutti ne parliamo ma quando i ragazzi scelgono un’azienda sulla base dei valori che dichiara, dobbiamo, poi, essere in grado di praticare quei valori, dimostrare che non sono solo chiacchiere. Dobbiamo cambiare mentalità, avvicinarci alle nuove generazioni ed è tutt’altro che facile perchè noi per primi fatichiamo a cambiare i nostri atteggiamenti. La vera sfida, per me, è essere davvero capaci di comprendere e portare il cambiamento.
La posizione delle donne nel mondo del lavoro, attualmente cosa vedi?
Vedo che siamo sempre al palo. Stavo leggendo qualche giorno fa una ricerca che metteva in evidenza che siamo una popolazione che invecchia, non aumentano le nascite e questo porterà un grosso peso sulle generazioni future per mantenere quelli che andranno in pensione. Un altro dato che è emerso è che dei posti di lavoro persi nel 2020 il 98% sono coperti da donne. Questo è impressionante e non si può pensare che lo risolvano le aziende da sole. Se non c’è una riforma sociale che riesca a dare alle donne degli strumenti concreti, avremo sempre meno natalità e sempre meno donne che lavorano. Se non si comincia a investire sulla scuola, sul supporto alle donne che hanno figli, francamente vedo veramente difficile un miglioramento. Il cambiamento positivo che ho osservato è che, almeno, adesso se ne sta parlando di più, comincia ad aumentare la consapevolezza. È importante ma non basta.
Che consigli daresti a un giovane che si affaccia ora al mondo del lavoro? Anche per lavorare nel mondo delle risorse umane?
Questa generazione, rispetto alla mia, è molto più sfortunata. Ai mei tempi, facevi i master, poi facevi lo stage e all’80% venivi assunto, perché c’era più spazio per fa crescere le persone all’interno del contesto lavorativo. Adesso, a maggior ragione con il COVID, la situazione è molto più difficile. Quindi, un giovane che vuole entrare nel mondo del lavoro deve specializzarsi, studiare seriamente e studiare tanto , perché c’è tanta approssimazione anche nel mondo della scuola. Per chi vuole lavorare nel settore delle risorse umane deve scegliere i Master in HR che possono essere un aiuto ma vanno scelti bene. Un altro suggerimento è cercare di differenziarsi rispetto agli altri, che vuol dire, ad esempio, fare esperienze di lavoro all’estero durante gli anni dell’Università. Tutti quelli che possono fare l’Erasmus, andare all’estero, fare esperienze fuori, lo devono assolutamente fare. Vedo che ci sono tanti giovani che hanno studiato ma non hanno fatto nient’altro, questo li penalizza perchè hanno tanta concorrenza e chi riesce a distinguersi perché ha fatto delle cose in più ne trae sicuramente vantaggio. Infine, un po’ di faccia tosta: bisogna iniziare a lavorare sul proprio network da quando si va all’Università, costruirlo, crearlo e mantenerlo.